martedì 31 luglio 2012

Viaggio in Italia



Imbarazzo.


E' il sentimento che ho provato guardando la città di Torino e le sue montagne dal finestrino dell'aereo che mi riportava a casa.

Imbarazzo per accorgermi di gioire alla vista di quei giganti complessi di cime e valli, per quella distesa di tegole rosse e intonaco bianco con la sola Mole a fare da bandiera.

"Coimbra è più triste nell'ora della dipartita" cantano gli studenti portoghesi quando devono abbandonare l'antica città universitaria alla fine dell'anno accademico.

"Torino è più bella nell'ora del ritorno" canto io dopo 5 mesi di lontananza dalla mia città natale.

Per tutto questo periodo non ho avuto nostalgia del mio quartiere periferico, terra di mezzo tra il centro città, affollato e stimolante, e la provincia, isolata e prossima alla natura; non ho avuto nostalgia dei corsi trafficati, dell'aria pesante per lo smog, dell'afa estiva, del gelo invernale, della movida che si sposta ma è sempre uguale, delle strade ad angolo retto, dei sonnellini in pullman, dei ritrovi sotto casa, dei leghisti infestanti, degli operai che non si vedono mai entrare e uscire dalla Fabbrica.

Eppure al ritorno riconosco, mi emoziono e appunto mi imbarazzo.

E' questo è solo l'inizio perché da lì a poco arrivano tre amici brasiliani a cui desidero mostrare un'Italia fin'ora per loro immaginata, chiacchierata, mitizzata; fin'ora per me attaccata, difesa, distrutta, esaltata, sentita come pesante identità imposta senza il mio consenso.

E allora giù in macchina per un Italia che neanche io ho mai conosciuto: la riviera ligure di levante, la Toscana da Lucca a Siena, l'alto Lazio.

Una parte misera della penisola ma sufficiente a fare sentire l'esistenza, la consistenza di un paese che ogni 50 km cambia modo di parlare, di mangiare, di arrabbiarsi, di insultare e di cantare.

Un paese che con rinnovato imbarazzo mi viene da chiamare meraviglioso..

L'Italia, gli Italiani, persone accomunate da cosa ? Dall'abitare su un suolo unificato da soli 150 anni? Dalla lingua ? Imposta e parlata da tutti da soli 50 anni e convivente con tanti dialetti. Dalla religione? Direi di no, nonostante il Vaticano. Dalle abitudini culinarie ? Nemmeno. Da cosa?

Forse è solo una questione di design: poteva forse lo stivale non stare tutto unito? 
Oppure è un sentimento che è stato coltivato nella popolazione di questo territorio e che, piano piano, da volontà di essere è diventato essere a tutti gli effetti .. seppur con mille dubbi, resistenze e tentativi di dividere il tutto.

Qualcosa è successo, qualche essenza italiana esiste perché l'ho sentita!
So che questo non è sufficiente, so che vivere fuori, essere quindi portatore di minoranza, fa marcare e enfatizzare i tratti della propria identità. Tuttavia.. esiste. E' una fede basata sui sensi.

E allora mi piace sorvolare su questo paese come qualche tempo fa in un documentario sugli anni di piombo, avevo visto fare sulla mia città. L'avevo sentita tutta giunta e mia. 
Persone formiche che si spostano, si incrociano, si scambiano merci e idee, si relazionano in maniera libera o predefinita; un caos complesso che sembra avere un ordine solo se preso tutto insieme, dall'alto. 

E se sorvolo la penisola vedo gli 8000 comuni italiani in cui in questo esatto momento si sta facendo qualcosa.

Qualche cuoco prepara piatti regionali, qualche proprietario di campeggio accoglie turisti tedeschi, qualche cameriere serve la pasta in una piazza pittoresca, qualche pescatore aggiusta le reti, qualche anziana tenta di raccogliere i fichi maturi con un lungo bastone, qualche nonna guarda da sola in casa la televisione e aspetta il ritorno dei nipoti.

8000 comuni e chissà quante piazze, pieni di bar, pieni di tavoli, pieni di italiani che parlano toscano, ligure, napoletano... pieni di discorsi sul cibo, sul paesaggio, sull'aria fresca.

Vedo le città come perle di una collana unite dal filo che sono le strade di romana eredità: l'Aurelia, la Cassia, la Salaria, la Tiburtina..

Un borgo, un campo, un altro borgo un altro campo.

Dentro e fuori dal borgo.
Dentro e fuori dal campo.

Per chi torna, per chi si è messo in movimento tutto questo appare fermo di quell'immobilità che dà sicurezza perché si ritrova costante ogni volta che si torna a vedere.

E attorno ci possono essere governi, crisi, scioperi, mafie, l'Europa unita, il caro benzina ma tutto quella complessità quell'essenza resta lì, radicata nei borghi, nelle strade, nei campi coltivati che non sono solo contenitori ma eredità manufatta che imprime forma a chi ne abita lo spazio e che continua a costruirla..

Che io lo voglia o no, per fortuna o purtroppo, io appartengo.

Fino a ieri il concetto di appartenenza era un cerchio tracciato attorno a me, il cui raggio poteva aumentare all'infinito includendo l'universo tutto o restringersi fino a circondare solo il mio "piccolo" ego.

Oggi la penso ancora così con la differenza che trovo qualche cerchia più fondata delle altre, più soggettivamente importante.
Potrebbe essere comunque un'illusione ma un desiderio è cresciuto in me: quello di appropriarmi di questa appartenenza, conoscere tutto ciò che mi si attribuisce in quanto italiano che sia a torto o a ragione. 

Voglio mettere tutti i borghi in fila fino ad arrivare a Roma per provare la vertigine di trovarsi in un centro di gravità la cui storia umana si perde nei secoli.

Voglio passeggiare sulle cime di frontiera e toccare gli spigoli costieri oltre i quali qualcosa, anche se non so bene cosa, non è più lo stesso.