domenica 29 marzo 2020

respira (CAPITOLO α)

Tutto parte da qui.

Dal respiro.

Ogni cosa, parte da quello scambio. Scambio.

Scambio che è vita.

Manca l'aria. A Gabriel manca l'aria.
Manca uno scambio efficace, manca un po' di vita.

E le paure che si insidiano prima ancora che nuove, sono antiche, prima ancora che terrifiche sono naturali, prima ancora che definitive sono iniziate.

E Gabriel regola il suo respiro.
Lo parcellizza per averne riserva e per conoscerne la disponibilità deve riscoprirla, meditare.

E' testimone di qualcosa che passerà. Che va al di là di lui e di tutto ciò che lo circonda, di tutti coloro che stanno attorno, vicini o lontano.
Eppure ne è parte. Quel contorno dell'esistere, esiste anche per loro.

Le maschere ora abbisognano di altre maschere.
L'ossigeno diminuisce, se prima per convenzione anomala ora per biologia che aggredisce.

E il pensiero va, va a chi è in primissima linea.
Prima linea in sale umane fatte di gas, metalli, plastiche, tessuti e uomini.
Mai prima d'ora la loro sostanza è così chiara.
Uomini. Che giacciono, che reagiscono, che lasciano.

E attorno la prima linea. La linea di chi con competenza o meno assiste.
Ma non è una guerra.

Non ci sono soldati, se non per le strade. Non necessitano di polvere da sparo, ma di penne e carta.
Non c'è fame. Cibo ce n'è e acqua anche.
Non ci sono confini da invadere, bensì da rispettare.

La guerra la fanno gli uomini.
Questa no, questa prende il nome di pandemia.
Quale ne sia la causa, la natura coadiuva, la natura toglie, la natura dà, la natura cura.

C'è fame d'aria. Aria... a r i a
Una parola che diventa nome.

E con quel nome, torna il respiro.
Può tornare a respirare Gabriel.

E' necessario respirare. Vitale per vivere e per raccontare. Per narrare ciò che ci siamo dimenticati.
Ciò che torna ad essere perché è sempre stato.

Ora Gabriel respira. Ascoltami, respira.
Tutti insieme. Respiriamo.

r e s p i r i a m o



domenica 15 marzo 2020

Ma sticazzi (CAPITOLO 1)

CAPITOLO 1 - Ma sticazzi

Ma... STICAZZI!
sticazzi, sticazzi, sTICAzzI sticazzi sticazzi SticaZZi sticazzi STIcazzi STIcaZZI sticazzziiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii strafottutissimicazziiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii.

Disobbedienza civile, senso civico, civismo ma STICAZZIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!

Parole che riempiono la bocca di Giofra come se non ci fosse un domani.
Le riempiono che i cazzo di denti del giudizio non trovano manco il posto per uscire.

E ste parole fanno più male di quella fottuta dentizione ritardata.

STICAZZI
è una parola che Giofra ha adottato dal vocabolario romano. Romanesco per l'esattezza.
significa STICAZZI, anche se accettato in talune situazioni come sticazzi ma mai sticazzi o 'sticazzi'.
No corsivi, no grassetti, no virgolette. Maiuscolo o minuscolo o a lettere alternate a random.
STICAZZI. semplice. preciso. punto.

E comunque Giofra c'aveva tanta roba dentro. Ma tanta. E quando dico tanta, porca puttana... tanta tanta.

Ma è necessario fare un po' d'ordine per capirci qualcosa ma no - sticazzi - (sì, tra due trattini va bene) quello che viene viene e se non capisci cazzi tuoi. leggi altro.
ti rispetto eh! ma non me ne frega un cazzo. perché a Giofra non fregava un cazzo in quel momento di tutto ciò che gli riempiva la bocca.
voleva vomitarlo, cazzo liberarsene ma no... teneva, teneva. Lui teneva.
Perché aveva imparato a voler poco bene al suo corpo e quindi teneva. E ci riusciva bene.

Sì, alle volte sembrava una cazzo di responsabilità potesse sfuggirgli dagli incisivi ma il cazzo... mica c'aveva lo stretto di Gibilterra di Giusi Ferreri. Non passava niente.
Ed ecco che dalla protesi dello zirconiodistaminchiachemavevacucciatoduestipendi sembrava che un pezzo di senso del dovere dovesse sfuggirgli come un pezzo di spinacio che stava lasciando la sua dimora post-prandiale.

Ma no. Niente. Tutto rimaneva dentro. Che poi... non era nemmeno così difficile ringoiarlo. Il senso del dovere di Giofra era un sensodeldovere tutt'attaccato, tutto un pezzo, come quei maccheroni che ti vanno giù e o ti strozzi o pugnetto al petto e bo... giù tutto.

E si ricominciava. La vita di ogni giorno.

Ma ora non era la vita di ogni giorno.
Oggi no.

Oggi c'era l'isolamento forzato e autofiduciario.
C'era la pandemia nel mondo.
C'era una roba strana che manco a Kubrick a pranzo ubriaco con Nolan sarebbe venuto loro in mente di creare.

Pandemia da Coronavirus.
Sì Coronavirus... e non sto parlando di un cazzo di pokemon.

E faceva malati e faceva morti. Troppo presto per sapere se tanti o pochi ma un po' ne faceva. In tutto il mondo.

Prima in Cina, poi nel resto dell'Asia, poi in Europa.

Vedi che un po' di ordine l'ho fatto comunque.

E in quella cazzo di pandemia che obbligava tutti a casa - tutti tranne che i sanitari e gli operai (come mai, come mai...) - Giofra stava quasi per vomitare e non contenere.
Cazzo, cazzo e cazzo.

Era un allarme rossoviolabordeaux, una fase 7 dell'OMS (thesedicks phase - in inglese è accettato il corsivo), un cazzo di allarme DEFCON 1+ (colore bianco perla) dove l'attacco in corso non si sa manco da dove provenga.
Dal mondo e da dentro di lui.

Bè gente. Sticazzi.
Non ci sarebbe nulla da aggiungere.
Disagio power che se siete della generazione X o Y e non l'avete ancora vissuto, vi beccherà prima o dopo. Ma mica perché qualcuno ve la mandi. E' un po' come la pandemia, quando arriva arriva.
E quando arriva cosa dice l'OMS? Who? L'OMS cazzo! L'OMS. Bisogna sapere cosa è l'OMS.
Cosa dice? Minimizzare l'impatto della pandemia.

E sticazzi ragazzi. Potrei minimizzarlo fermandomi qui. Ma no.
Le danze si sono aperte e so Giofra sarebbe felice di condividere un po'.
Quindi state pronti, perché è tempo di descrivere ogni pezzo di vomito di quel fottuto Giovanni Francesco di circa trent'anni che vagava sul marciapiede, una mano alla pancia e l'altra che creava cerchi magici nell'aria in segno di aiuto.

Non riusciva a mettersi la mano alla bocca ma non era per le restrizioni del governo.
No... Era perché stava uscendo tutto, e nulla sarebbe stato come prima.