domenica 20 febbraio 2011

La morte, forse ciò che più fa paura all' uomo.
Una paura assai strana, perché è pensiero assai lontano dai mille pensieri, eppure ecco che talvolta diviene pensiero centrale che ci tormenta o affascina.
La morte è uno dei temi maggiormente trattati dai poeti, dai filosofi, dagli scienziati. Ancora più che la vita forse.
La morte, che tutto ci porta via e grazie alla quale tutto continua.
In vero, può essere considerata anche una vita, la morte.
Utilizziamo il termine morte molto più di quello che immaginiamo; diciamo di morire quando una parte di noi vuole dimenticare tutto ciò che è passato per rinascere in nuova forma, in nuovo contenuto.
La morte in tal modo diviene l’ unica via di uscita, la tappa fondamentale per uccidere l’ io attuale che odiamo o che rinneghiamo o che semplicemente non ci aggrada e giungere al traguardo successivo della rinascita. La rinascita in qualcosa di nuovo nello stesso qualcuno. Un nuovo io per andare avanti.
Ma la morte reale, la morte che è la conclusione della vita che conosciamo, non di quella che non conosciamo, è un evento con il quale prima o dopo dovremo fare i conti. In prima persona.
È l’ unico appuntamento certo che ogni uomo avrà con una donna, supponendo che la morte sia femmina.
È  comunque l’ unico appuntamento certo che abbiamo, di cui non dobbiamo dubitare anche se vorremmo tanto farlo. E non ci serve agenda o diario perché anno, data, ora rimangono a noi sconosciuti in modo inequivocabile.
Sarà il momento più opportuno? O il meno opportuno?
Sarà in un momento in cui supponiamo di meritarcela o desideriamo di meritarcela? Sarà l’ attimo della vita che più di ogni altro volevamo essere attaccati alla vita?
È buffo ma non sappiamo nulla.
È la cosa che più ci coinvolge, che più ci tocca e noi non abbiamo diritto di sapere alcuna cosa.
E’ forse entità spaccona o dolce attesa?

È la vita che definisce il significato della morte.
E se qualcuno ci dicesse di associare un colore al concetto di morte? Quanti direbbero qualcosa di diverso dal nero o al limite dal grigio.
Un sentimento? Quanti direbbero qualcosa diverso dalla tristezza e dalla malinconia.
Siamo troppo ancorati ad una apparenza di vita che ci fa vedere al morte più nera e più cupa di quello che è.
Che tutto finisca o che tutto inizi dopo la morte cambia il significato della stessa. È più appagante e consolatorio il pensiero di un lieto prosieguo fatto di luce, odori piacevoli e purezza. Ma se tutto finisce?
Se tutto finisce vorrà dire che è stato quel che è stato. Né più né meno.
È proprio questo il pensiero che ci dovrebbe spingere a rendere questa vita unica e meravigliosa, degna di essere vissuta insomma.
Non a discapito degli altri.
Non a discapito di se stessi.
La cosa più ardua è infatti cercare di vivere una vita meravigliosa senza sormontare altrui persona e godere di qualcosa senza privarla ad altri.
Siamo così gelosi dei nostri attimi di felicità perché ognuno tiene per se quello che trova.
La vita non sarà mai meravigliosa se non condivisa, durerà la razza che possiede il più elevato altruismo asseriva Jack London.
La morte volente o nolente ci attende o noi attendiamo lei; l’ incontro sarà inevitabile dopotutto.
Seneca citava: ascoltami: verso la morte sei spinto dal momento della nascita. Su questo e su pensieri del genere dobbiamo meditare, se vogliamo attendere serenamente quell’ultima ora che ci spaventa e ci rende inquiete tutte le altre.
Meditare dice Seneca, non tormentarci.
Questo discorso di morte è suscitato da uno dei lavori di Tim Burton: “La Sposa Cadavere”; una delle favole meravigliose del regista americano che tratta a suo modo questa tematica. Un modo eccentrico, curioso, fuori dal coro, semplice e contorto come un incubo. Come un sogno.
Un mondo triste e grigio in contrapposizione ad una aldilà colorato, allegro e spensierato.
Cito per concludere le parole di Burton che lasciò in un’ intervista relativa al suo lungometraggio…
“ Risale alla mia infanzia, quando sentivo che tutto ciò che si definisce “normale” non lo è affatto, e neppure ciò che si definisce “anormale”. Sono cresciuto nell’ America suburbana, dove la gente ha paura della morte, ed esistono culture, come la messicana, in cui si celebra il Giorno dei morti, ed è una festa così divertente, con gli scheletri che fanno cose bizzarre, e io mi sono reso conto che era quello il luogo in cui preferivo stare. Inoltre la morte fa parte del ciclo della vita, e se non si è pessimisti nei suoi confronti, per quanto sia triste, la puoi pensare in termini di spiritualità e speranza, e in qualche modo di mistero e bellezza. È questo il tema che avevo in mente: il mondo dei vivi che è più morto del mondo dei morti, una sorta di gioco di giustapposizioni, di quei sentimenti che ricordo di aver vissuto sin da molto piccolo “.

Ancora, qua, in queste pagine potete lasciare il vostro commento da cui deriva la bellezza della riflessione, del confronto, della meditazione, della libertà di dire la propria.
Grazie

3 commenti:

  1. Questa storia della morte mi ha messo una gran bella allegria.
    E mi vengono in mente le diverse raffigurazioni proprio della Signora Morte.. Ve ne ricordate qualcuna?
    Una delle mie preferite è quella affrontata da Brancaleone (Gassman) neli'omonimo film di Monicelli.

    RispondiElimina
  2. Be non si può non citare la morte de "I Griffin" doppiata dall' indimenticabile Roberto Lo Giudice!

    RispondiElimina
  3. Un'anonimo esperto di doppiaggio... mmh.. chissà chi è?

    RispondiElimina