sabato 12 febbraio 2011

parole

"Andai nei boschi per vivere con saggezza, vivere con profondità e succhiare tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto"
Così citava Henry David Thoreau nel suo Walden, ovvero La vita nei boschi.
Una frase può raccogliere il significato che qualcuno ha della vita; due righe di parole possono esprimere quella vita.
Il pensiero di Thoreau esplica la vita.
Voglio a mio modo interpretarlo.
Andai esprime la volontà del nostro essere di adoprarsi a muoversi, muovere quelle membra che tanto trascuriamo e tanto impieghiamo in maniera sconveniente.
Andai è azione, movimento, moto, non caso, fato, destino anche se tutto potrebbe essere dipeso da loro.
Andai è vita.
Nei boschi è per me la meta che ognuno di noi ha. Ognuno ha il suo bosco, il suo rifugio, il suo mondo, non tanto quello in cui vive ma quello in cui vorrebbe vivere: il luogo dove la nostra persona acquisterebbe il mero perché della sua esistenza.
Il luogo che ognuno di noi cerca… molti lo trovano, chi prima, chi dopo, molti altri non ne hanno il tempo, molti ce l’ hanno ma lo sprecano o lo utilizzano in diversa maniera e quando, e se, si accorgono che il luogo in cui sono non corrisponde a quello in cui vorrebbero essere diviene tempo ormai tardo.
Per vivere diviene la meta della nostra meta; una volta raggiunto il nostro bosco capiamo che lì la nostra vita può essere chiamata tale e tutto quello che c’ era prima, i brutti ma anche i bei momenti, probabilmente appartenevano a dolce e malinconica esistenza.
Con saggezza… e mi viene da sorridere… Cosa è la saggezza? Ognuno di noi potrebbe definirla in modi del tutto differenti e la cosa che ci sorprenderebbe è che quello che uno considera saggio per l’ altro è l’ esatto opposto. Ma non è forse per ogni cosa che funziona così?
Ma forse, quello che Thoreau vuole dire è che una volta avviato il nostro cammino, una volta raggiunto il nostro bosco, una volta colto anche il margine più flebile della vita, lì conosceremo la saggezza e con lei vivremo, ma non solo; vivremo con profondità,con ardore, passione, sentimento, giungeremo a succhiare tutto il midollo della vita… Ogni cosa apparrà ai nostri occhi degna di essere vissuta perché sì! Ora siamo nel bosco bucolico di questa nostra esistenza e tutto è purezza, bene, emozione, commozione, amore, eccitazione, inebriazione, desiderio, brama, gelosia, cattiveria, dolore, odio…
No, no, no qualcosa non torna!
Se qualcuno mai ha raggiunto quel bosco che già mille volte ho citato, è riuscito a sostenere la vita? Quanto è durata la sua esistenza in quel luogo, come… come ha fatto a sbaragliare tutto ciò che non era vita?
Cosa significa sbaragliare tutto ciò che non era vita ?
Non è forse ogni singola cosa dell’ esistenza, vita?
Come faccio a sbaragliare tutto ciò che non è vita, se tutto è vita?
Nel bene e nel male.
Devo sbaragliare quindi anche la vita stessa?
Devo classificare la vita forse.
Classificandola potrei individuare tutto ciò che è vita e tutto ciò che non lo è.
Dolore non è vita potrei incominciare a scrivere… ma senza dolore non avrei conosciuto tante forme di amore che sono scaturite dal dolore stesso.
Allora anche amore non è vita?
Ma amore era stato appena aggiunto sotto VITA e non sotto NON VITA.
Come fare? E se…
No, non si può.
Finirei per avere una delle due colonne vuote.
Inevitabilmente.
Io so, posso immaginare cosa volevi esprimere Thoreau.
Ma come si fa a sbaragliare tutto ciò che non è vita?
È arduo giungere a poterlo sapere, anche solo immaginarlo, perché non è forse vero che quando siamo sicuri dell’ erroneità di un qualcosa poi scopriamo che qualcosa di sincero e puro lo caratterizzava o sveliamo qualche elemento nuovo in quel qualcosa che ci fa mutar idea senza inevitabilmente aver vacillato?
Quanto della nostra vita ci appartiene realmente?
Il cento su cento? L’ ottanta? Il sessantaquattro? Il trentuno? Il venti? Il dieci? Il nove? L’ otto? Il sette? Il sei? Il cinque? Il quattro? Il tre? Il due? L’ uno? Lo zero su cento?
La risposta a questa domanda ci fa capire che persone noi siamo; sicure, timide, volenterose, spaurite, coraggiose, gelide, fredde, amichevoli, stronze, persuasive, amiche, retoriche, impaurite, agghiaccianti, cattive, buone, belle, socievoli, stupide, brutte, splendenti, magnifiche, deplorevoli, gentili, egoiste… sino all’ infinito si potrebbe arrivare.
Ma qualunque cosa o persona noi siamo nessuno di noi vorrà in punto di morte, scoprire di non aver vissuto.
In vero la vita per me è un soffio di vento che forte si alza sopra ogni cosa, che fievole si posa sopra ogni cosa, che talvolta non trova prosieguo, che a volte si insidia in quel territorio sconnesso e liscio e arduo e semplice che è i passi della vita, per spingersi finché avrà molecole e atomi che lo conservano sopra di quel mare che chiamiamo esistenza.
Forse d’ altronde alcuno scoprirà di non aver vissuto perché tutti hanno avuto, hanno, avranno il loro grammo di vita anche se forse potremmo non accorgercene mai.

E voi che cosa ne pensate, chi ne ha voglia scriva e scriva i suoi pensieri per confrontarci, per riflettere, per scherzare e ridere, per sospirare e piangere delle migliaia di parole che ognuno di noi potrebbe dire della vita perché checché se ne dica le parole possono essere vaghe e anche inutili, sì mille parole inutili che non dicono nulla o una che ne dice molto di più…certo… ma senza parole non potremmo né leggere, né scrivere, né essere in parte uomini e ciò che esisterebbe da succhiare del midollo della vita sarebbe assai più scarso, io penso.
Grazie

3 commenti:

  1. Se esco di casa e incomincio a correre verso le montagne prima o poi i miei passi mi porteranno in un bosco. Continuo a correre ma non c'è più la strada asfaltata sotto i miei piedi. Ci sono pietre, foglie, radici, buche, piccoli animali... e' impossibile riuscire a tenere una linea di corsa perfetta perchè devo evitare gli alberi, scansare i rami bassi e la luce è poca.
    Io non so cosa vuol dire vivere la vita con saggezza ma forse intuisco cosa vuol dire viverla in profondità. Vuol dire spezzare la mediazione che c'è tra l'uomo moderno e la natura, fatta di bisogni costruiti, di tecniche per alleviare ogni minimo dolore, della possibilità di non guardare dove si mettono i piedi...
    Non posso dire che quella che già vivivamo non sia vita ma forse ne è una forma attutita o come ho già sentito dire: "anestetizzata".
    Una vita che neghi tutto quello che è (una vita nei "boschi") forse non è possibile; ma un'esperienza sì. uno squarcio in tutto ciò che sembra inviolabile, innegabile. Un'esperienza di paura, estasi, febbre, affanno, amore è possibile. si rinasce o si muore.

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  2. Egregio sig. Verne Shutterproof,
    mi consenta di interpretare a mio modo la frase da Lei citata, pur non avendo il libro di Thoreau e rischiando di fraintendere.

    Parole dunque.
    Dicono che la storia dell'uomo sia iniziata da quando l’uomo ha iniziato a scrivere o comunque a lasciare segno di sé.

    Immagino che l’andare nei boschi abbia permesso all’autore di vivere più a contatto con la Natura nelle più svariate forme ed accezioni e quindi, bucolicamente, una vita più profonda e saggia.
    Profonda. Probabilmente l’assenza o la carenza di ciò che si intende per civiltà consente all’uomo di riappropriarsi di quella che è la sua essenza, non solo in termini di istinti ma soprattutto di sensi che la civiltà, per ovvietà di cose, obnubila a più livelli.
    Saggia. Tramite i sensi l’uomo osserva, gusta, ascolta, odora e tocca. In una parola, impara.
    Stando a contatto con la Natura, conosce il lento ed inesorabile susseguirsi delle stagioni ed impara a rispettare i tempi necessari al verificarsi di un qualsiasi fenomeno, foss’anche lo sbocciare di un fiore.
    L’andare nei boschi può anche essere metafora della fuga da un elemento conosciuto e soffocante per uno libero seppure non propriamente ospitale.
    È verosimile che l’autore, vivendo immerso nella natura e quindi tendenzialmente in riflessivo silenzio, abbia avuto modo di pensare, analizzare quella che era stata la sua vita fino a quel momento e capire cosa è stato importante e cosa no, talora ricredendosi o modificando le certezze acquisite. Tramite quest’analisi, condotta in punto di morte (metaforica o reale) egli comprende di non aver vissuto. O meglio, di aver vissuto ma con qualche rimpianto, qualcosa di non detto, non fatto, non tentato, irrisolto.

    Che il suo non fosse una sorta di monito per chi legge, un memento vivi?
    D.K.

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